sabato 2 giugno 2007

LUCCHETTI D'AMORE

E va bene dai.
Ultimo tuffo e poi si nuota soltanto in avanti. E se per caso dovessi uscire dall'acqua, non voglio
rituffarmi, ma entrare dolcemente, come scivolando su qualcosa di oleoso.
Stavo così bene in quella camera gialla. Stavo davvero bene.
Li c'era tutto. Li c'era niente.
C'era la libertà per la prima volta di amare, di lasciarsi amare.
C'erano le passioni che si mescolavano alle mie paure, alle sue paranoie.
C'era sempre quella bella e delicata musica che circondava gli attimi che vivevamo insieme.
Pochi mesi che sono sembrati anni.
C'era il suo timore che io facessi l'amore con lui mentre desideravo l'altro.
E solo oggi ho capito che l'altro io non l'ho mai desiderato, non l'ho mai amato.
Era un'infatuazione strana da descrivere. Stavo bene in sua presenza, mi piaceva guardarlo silenziosa
mentre suonava e cantava ed io a bassa voce, ogni tanto, ripetevo qualche parola.
Mi piaceva ballarci vicina ed essere spinta via perché poteva cadere in tentazione.
Forse questo cercavo.
Che lui cadesse più in là di qualche tentato bacio mendace.
Ma lui era solo questo: una storia che mai avrebbe preso piede.
Lui troppo timido da parlarne, lui troppo convinto che io non potessi essere all'altezza.
Per questo non era amore.
Ma in quella stanza, tutto spariva. Un bicchiere di chardonne, qualche candela accesa,
la musica giusta al momento giusto e i nostri corpi che si cercavano tra le lenzuola rosse e le ombre.
Dio se si stava bene. Se mi riempiva il cuore studiare in biblioteca mentre appoggiava la testa sul mio braccio e mi chiedeva i grattini.
O quando una notte, al posto di farmi salire è sceso con un piccolo zaino e non ha detto nulla.
Ha cominciato a guidare, sicuro, per una strada che per me avrebbe portato al paradiso.
Senza dire nulla, comincio a leggere qualche località sui cartelli.
Si.
MI stava rapendo per una notte.
Mi stava portando in un luogo diverso.
Una sorpresa che si è affermata solo quando scesa dalla macchina ho respirato a pieni polmoni quell'aria di montagna.
Una sorpresa che mi ha riscaldato l'anima quando ci siamo voluti bene, li,
da soli,
lontani da tutto e tutti.
Mi sembrano passati decenni.
In montagna a preparare esami senza curarci del fatto che stava arrivando una bella bufera, e rimanere bloccati li tre giorni in più, e vivere venti quattro ore insieme.
Credere che quel problema sarebbe stato superato, che con la sua comprensione e vicinanza sarebbe andato meglio. Lui troppo pauroso di qualcosa che lo aveva appena sfiorato, mi ha chiuso la porta in faccia, per poi riaprirla, dopo il mio silenzio, per chiedermi scusa. Scusa per non aver capito il mio problema.
Se la poteva tenere la sua scusa. Ed io quelle lacrime.
Credere, già. Perché quelle lacrime non dovevano uscire.
Perché lui non doveva farmi innamorare, di lui, del suo mondo, delle sue fotografie, del suo portarmi in cima alla collina e guardare Torino dall'alto, del suo farmi vedere in piena notte e di nascosto quella fantastica torre di Antonelli.
Ed io non dovevo essere così ingenua da credere di aver trovato la serenità, per una volta.
Ingenua a versare lacrime sussurrando che non l'avrei voluto perdere.
Ma mi fossi alzata, dico io, mi fossi infilata la giacca e fossi andata via, con quelle lacrime ancora per me, cosa sarebbe successo?
Forse la stessa pugnalata. Chi lo sa.
E' stata una bella mossa, la sua.
E' stato un bel dolore, il mio, che visto adesso, direi che non ne valeva la pena, dato al persona infida che sotto sotto era.
Ma come scordare queste cose, questi mesi passati insieme.
Ma come scordare le sue paranoie, il suo starmi lontano in un momento difficile.
Lo ricordo perché è stato per quei mesi, un ragazzo che mi ha permesso di liberarmi, di vedere altre cose da altri punti di vista.
Ma Dio, se fosse continuata, o ci saremo amati alla follia o ci saremo uccisi per la pazzia.
E dopo lui, ho chiuso il cuore e nascosto la chiave.
Nessuno avrebbe più giocato con i miei sentimenti.
Ma al cuor non si comanda.
Ed è stato aperto, un giorno, all'improvviso, dopo due anni.
Di attese e sospiri fatti alla Luna.
Aperto da mano sconosciuta ma sembrata amica sin dal primo momento.
Chiuso dopo pochissimi attimi dalla stessa mano che sembrava amica ma che all'ultima è risultata feroce.
Entrato a grandi passi, delicatezza e comprensione.
Potevamo parlare di tutto, senza imbarazzi, potevamo rispettare i nostri impegni e vederci in archi di tempo che erano dolci come il miele.
Pugnalata.
Fredda, veloce, improvvisa.
Io che avrei potuto amarlo. Senza fretta.
Come la neve... Lui è arrivato, l'ho sentito, l'ho desiderato e si è sciolto.
Con i primi raggi di un sole semi primaverile.
Come la neve, magari un giorno, lui ritornerà.
Ma per ora, richiudo il mio cuore, questa volta con due lucchetti.
Di uno, la chiave, la butto nel Po', dell'altro la chiave la metto nel posto più segreto che c'è.
Senza sperare.
Vivendo.




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